bar convention

i bar americani, quelli con le insegne luminose e il biliardo, mi fanno pensare a jakub. già con lui parlavamo di come il bar sia elemento di socialità, posto dove passare il tempo, da soli o in compagnia, con una birra, o magari più d’una, per vedere una partita, prima di tornare a casa, per incontrare qualcuno con cui scambiarsi d’improvviso qualcosa, magari poi senza vedersi mai più, per chiacchierare con il bartender, non invasivo, ma disponibile.

oggi, con lui, conosciuto a new york, al bar chiacchieravamo di politica italiana e americana, su un monitor baseball, sull’altro la prima parte della convention. un bar lontano dai clamori obamiani di downtown, senza spillette e gridolini, senza credentials e polizia.

forse un tempo da noi, dove la socialità è legata al cibo più che al bere, come al bar si andava in osteria. in qualche faschetta dei castelli forse ancora, ma il cibo è ormai business, mindstyle, gusto. e al bar il caffè è un sorso mentre si corre. e poi, a me, il caffè, non piace.

della florida, di un posto che non esiste, dei bars

l’arrivo in florida è dopo una lunga giornata di macchina. per l’esattezza, causa appuntemnto per intervista, arriviamo a the villages, posto costruito negli ultimi 15 anni (il nostro hotel secondo il navigatore era in mezzo ad un lago), comune di lady lake: con 27mila retired residenti è la più grande comunità di pensionati negli states, e credo al mondo. un posto di casette e guardiani, macchine elettriche e carrozzelle, campi da golf e bandiere. qualcosa come il paese di truman show, ed esiste davvero.

jakub viene immediatamente colto da depressione ansiogena, forse anche per colpa degli ananas fioriti che campeggiano incontabili sulle pareti dell’hotel. dice: usciamo, ci deve essere un bar, c’è sempre un bar in america.

così arriviamo al dallas. la cameriera sovrappeso, decisamente grassa, si, ma nella media, ha l’aria sveglia. i clienti sono per lo più reduci di vite fallite, o di famiglie lasciate da qualche parte, per lo più ubriachi e chiassosi. finiamo però a chiacchierare con un tipo – anche lui più che nella media come peso – con enormi baffi e un passato di cinquantacinquenne che ne ha viste parecchie: militare in oriente – ma non proprio in guerra, più cose da ambasciata – durante gli anni del vietnam, guardia del corpo di music stars, come bon jovi, poliziotto a ny, in servizio ancora l’11/9, vincitore di un milione di dollari (ci ha mostrato la foto) in una lotteria anni prima. vita da bar, con piacere di jakub, e mio.

l’indomani intervista con un giudice, abitante anche lui della comunità di retired. la moglie bionda e tirata e truccata a nascondere le rughe, di quelle che in un film sono minimo alcolizzate. parliamo con lui, ci spiega e mostra la macchina dell’e(o)rrore delle elezioni del 2000, ci fa incontrare vecchi amici, filmare il quotidiano incontro con gli arrestati del giorno prima. il suo collaboratore, sceriffo, faccia simpatica da bonaccione, ci mostra le celle e la stanza della giuria, e ci regala il distintivo (siamo, di fatto, vicesceriffi!!!?).

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fine giornata si va a daytona beach, e la florida si completa. in un locale musicisti da fiera di paese si esibiscono con pezzi di macchine da corsa appese ai muri, con coppiette stravaganti e dongiovanni in crisi di mezza età che se la credono. qualche giovane qua e là, non si capisce bene perchè.

come las vegas daytona è una fiera di giochi e divertimenti: le corse delle macchine, gli spogliarelli, i ristoranti squallidi che chiudono alle 11, luci sfavillanti.

però c’è il mare, e si va in macchina sulla spiaggia. pensiamo che un tempo doveva essere bello. ora non capiamo il perchè. pensionati e gioco, come se tutto fosse possibile, o come se niente fosse vero.

però il crabby joe’s mi è piaciuto, ma forse solo perchè, con i ragazzini col surf di fronte tra le onde, i pellicani e due assurde tizie che volevano chiaccierare dell’italia, anche questo bar poteva essere solo fiction.

that’s la florida. a the villages vince romney. a daytona se ne fregano. qua, tra un bar e un’altro, tra un giro in giostra e un catetere, in un posto che non esiste, si è decisa la storia degli ultimi 8 anni.

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