youth

ricordate la storiella del primo e della maestra?

bèh, davanti ai ragazzi di mtv e myspace, obama è decisamente più efficace. clima confidenziale, come tra amici, how do you doing, si dicono, si danno del tu. hi guys appreciated you take the time, saluta. e non si risparmia la frase ad effetto: in america change begins always with youth people.

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hillary, povera, arriva in ritardo (e nemmeno si scusa, meritandosi una battutina alla fine di uno dei moderatori, che dice: grazie, ora può tornare al suo calendario). si fa aspettare, e non è un bel simbolo. anche perchè, nell’attesa, si mettono ad intervistare quelli che hanno cambiato idea durante la serata, e chi parla … dice obama!

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e, già che ci siete, guardatevi questo.

botte e schiaffi, poi è cosa di tempi

è da poco finito il dibattito, ormai settimanale, dei democratici. south carolina, cnn e congressional black caucus institute (quindi con particolare attenzione alle issue di interesse dell’elettorato nero).

mentre scorrono nuovamente le immagini, commentate e ricommentate, la mia impressione è sempre più chiara. potrà non piacere a chi commenterà, “per noi”, i servizi preparati per skytg (mercoledì 14.30), ma al centro della sfida c’è obama.

mettiamola così:

hillary è la maestra severa, esperta e stimata, moglie dell’ex preside amato da tutti.

obama il primo della classe che sale in piedi sul tavolo.

edwards il professore (ex) giovane che fa il piacione, regalando un saggio di retorica, utile ahilui solo a dichiarare di esistere.

la sfida H-O, maestra severa studente modello, è in due tempi.

nella prima parte (finalmente) gli attacchi. tutti in piedi, uno di fianco all’altro, obama al centro, hillary alla sua destra. domande più rigide, tempi in teoria altrettanto, ma non rispettati.

il botta e risposta è serrato e deciso. attacchi personali, tra inaffidabilità e menzogne. obama colpisce, ma non abbastanza. è difficile per lo studente modello vincere nel botta e risposta contro la maestra severa. hillary risponde, incalza. la strategia obamista – già criticata nel pomeriggio per aver coinvolto bill negli attacchi contro i clinton – sembra suicida. obama appare in difficoltà, non riesce mai ad avere l’ultima parola. è lei così che risulta in ultimo più incisiva, quel tantino più concreta e stronza. obama però segna almeno un punto, lotta.

la seconda parte è libera, in poltrona, senza regole. stesse posizioni, sempre obama al centro.

è qui che si apre la finestra sulla sfida: è una sfida di tempo.

se è un tempo continuo, in cui conta l’esperienza, in cui quello che si è fatto è garanzia del futuro … allora vince hillary.

ma se il tempo è nuovo, discontinuo, generazionale, dal presente al futuro … allora l’unico che ha il ritmo giusto è obama.

è obama al centro, come nelle inquadrature, è lui che segna il racconto, è lui il protagonista del film. un mese per dimostrare se questa volta il protagonista vince o no.

due flash:

1. immagine della prima parte: obama in primo piano, in piedi, sulla parte destra dello schermo, hillary leggeremente di sfondo, sulla sinistra, rivolta verso di lui, gambe incrociate, sguardo attento, mezzo sorriso. la maesta che aspetta la risposta, con aria di superiorità. e lo studente che difende la sua, che riesce ad emozionare. lo sguardo è della clinton, la presenza di obama, al centro, più alto, meglio illuminato (divertente vedere il dibattito con jakub, interessante intreccio di punti di vista … ci vantiamo troppo? … ma no!, .. è solo per fare invidia…). chi è l’eroe è solo questione di punti di vista, e di tempo.

2. domanda ad obama: “bill clinton è stato il primo presidente “nero”?” … risposta (più o meno): ammiro chi ha combattuto lunghe battaglie e ottenuto grandi risultati, anche per i neri, perchè dimostara che le persone possono cambiare le cose. ma è il tempo di una nuova visione, adatta ad una nuova generazione.(e poi – quasi in slang fa notare jakub – aggiunge: vediamo però come balla per dire se bill è un fratello…).

hillary è brava, ma ora tocca a me. non affonda (non come avrebbe potuto per gli spazi che ad un tratto si sono aperti), ma il messaggio è chiaro. e il target pure, dichiarato esplicitamente: obama vuole essere il candidato che piace oltre i liberal tradizionali, si appella agli indipendents, vuole anche i voti dei repubblicani.

(lo si vede anche su un tema caldo come l’health care: hillary e edwards parlano di universal hc, obama parla di costi da abbattere per renderlo accessibile a tutti. tematizzazione concreta e non ideologica. commentatore, se leggi, questo ti dovrebbe piacere no…?)

insomma obama al centro, a lui dimostrare di saper tenere la scena. sabato si vota in south carolina. è solo un altro passo, poi attenzione al tempo, fino al 5 febbraio è un attimo.

discorsi e sondaggi, annunci e smentite, soffi e venti

hillary ha vinto, di poco ma ha vinto. ha recuperato nelle ultime ore: per le lacrime, per aver meglio scelto i messaggi targettizzate (dal suo staff sulla cnn dicono che in iowa l’errore è stato concentrarsi troppo sulle donne adulte), per aver saputo attivare una forte presenza sul territorio (davvero tante persone venute a sostenerla da ogni stato, in modo più visibile e diffuso degli altri).

intanto parla obama. i’m ready to go, dice, congratulandosi poi con la clinton.

discorso memorabile rinviato e attesa allungata. la partita si fa interessante. si annuncia un mese caldo. ricco, combattuto.

staremo a vedere. change is what’s appening in america, continua obama.  we want change, risponde in coro la folla.

hillary aspetta, se la gode e parla per ultima. la nostra donna, invece, è triste, come fai a non votarlo, dice, guardando barack on tv.

intanto anche qua i sondaggi si dimostrano più che fallibili. momentanee fotografie che aiutano il game mediatico, che sparano l’uno o l’altro avanti, che cambiano come bandierine al vento.

o forse sono le persone che cambiano come bandierine al vento? chi soffierà più forte?

day before

frank jones center, portsmouth, nh.

qui mccain chiuse la campagna del 2000, qui in questo momento sta parlando. quello che colpisce subito, ancora nel corridoio, aspettando che ci diano l’ok per enrare, è lo stile militare, coro mccain mccain ritmato, quasi una marcia.

molto diverso dal calore sentimentale di edwards, mezz’ora fa ad hampton, qualche miglia da qua.

lì atmosfera raccolta, spazio ristretto e caldo, populismo da buoni sentimenti, gestualità coinvolgente, edwards in piedi in mezzo a persone sedute intorno, scarponcini da montagna con completo e cravatta stretta.

qua palco, pubblico in piedi a guardare, bandiera americana di ogni grandezza, formalità attenuata dal maglione rosso sotto la giacca, da domenica, da chi se lo può permettere, senza intaccare storia, personalità, forza.

temi personali da una parte, umanità e buonismo appassionato, issues internazionali e decisionismo dall’altra.

in entrambi i casi retorica efficace, ma la sensazione che tutto sia già sentito e visto, un parallelismo tra mondi chiusi, troppo tondo uno, rigidamente (s)quadrato l’altro.

entrambi piacciono, nessuno dii due è presidenziale.

mccain ringrazia continuamente, mantiene la distanza, edwards la accorcia. chiama a testimoniare susan sarandon (il cui ritardo fa slittare l’evento di quasi un’ora) e tim robbins, che si produce in un discorsetto stentato, in maglietta e panzetta. e poi, ancora, la famiglia di una ragazza morta per assenza di assistenza medica, esempio di quel populismo strappalacrime che mi ha ricordato illustri esempi italiani.

god bless you, chiude mccain. god bless you. rock a chiudere. cappellini mimetici su teste imbiancate escono lentamente.

let’s go. ci aspetta richardson.

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